Brunetta alla pubblica amministrazione, i fatti sono chiari: scelta negativa e incomprensibile

Prime valutazioni relative ai settori dell’università e della ricerca.

Diversi sono gli elementi di forte preoccupazione rispetto ai nostri settori che emergono considerando le scelte fatte dal Presidente del Consiglio dei Ministri nella formazione del suo Governo, in particolare rispetto alla necessità di investire e rafforzare il ruolo dell’infrastruttura pubblica dell’alta formazione e della ricerca, che riteniamo essere una delle priorità per il nostro Paese. Le nostre preoccupazioni e valutazioni potranno certamente modificarsi e faremo la nostra parte rispetto al merito dei programmi e soprattutto alle azioni di questo prossimo Governo. La cautela è quindi d’obbligo in questa fase, a maggior ragione considerata la situazione determinata dall’emergenza sanitaria e dalle sfide che la pandemia ci consegna, a partire dall’utilizzo delle risorse del Recovery Plan e dalle riforme ad esso collegato, che saranno decisive per il prossimo futuro del Paese.

Ciò vale anche per il ministro della Pubblica Amministrazione, che verrà valutato dai fatti, ma ad oggi una cosa è certa, il ministro della Pubblica Amministrazione Brunetta è proprio il peggior ministro possibile e non certo per un pregiudizio, ma perché il bilancio delle politiche che ha messo in atto nel suo precedente mandato da ministro della PA sta lì a dimostrarlo e, in quest’ottica, il fatto che il Presidente del Consiglio gli abbia affidato proprio lo stesso dicastero rappresenta in tutta evidenza un problema e un grave elemento di preoccupazione.

Forse proveranno a descriverlo come il ministro che ha messo in riga i lavoratori della pubblica amministrazione e che ha combattuto i furbetti del cartellino, ma la realtà dei fatti purtroppo è ben diversa. Ancora oggi sono evidenti gli effetti pratici dei tagli indiscriminati operati nei confronti di tutti i settori pubblici, che proprio l’odiosa campagna denigratoria messa in atto nei confronti del lavoro pubblico ha consentito di attuare, mettendo in secondo piano le responsabilità politiche delle scelte che si operavano. Quello subito dai lavoratori pubblici negli anni in cui Brunetta è stato ministro è stato un attacco durissimo quanto nel merito ingiustificato, sicuramente strumentale al nefasto progetto di forte riduzione del perimetro dell’intervento pubblico e in particolare del welfare state.

La politica iniziata in quegli anni in risposta alla grande crisi economica del 2008 fu nei tratti salienti palese ed evidenti sono ancora oggi i suoi effetti disastrosi, come la pandemia ha messo chiaramente in evidenza. Il nostro Paese da allora è tra quelli che ha fatto meno investimenti, che ha riscontrato una crescita del PIL tra le più basse nel contesto internazionale e che, oltretutto, sul versante delle entrate, non ha registrato significativi interventi che aggredissero l’altissima evasione fiscale che caratterizza il nostro Paese: una indagine commissionata dalla UE stima che in rapporto alla media di evasione fiscale dei maggiori paesi europei l’Italia ha circa 80 miliardi di euro l’anno in meno di entrate fiscali (se si considerano gli ultimi dieci anni, ciò equivarrebbe a minor entrate nel nostro Paese pari a circa 800 miliardi di euro, quattro volte le risorse a disposizione dell’Italia dal Next Generation EU!). In assenza di azioni sul fronte delle entrate, la scelta fu quindi di imporre forti limitazioni alla spesa pubblica e in questo il ministro Brunetta è stato senza ombra di dubbio uno dei principali attori, orchestrando la campagna denigratoria verso i lavoratori della P.A., additati all’opinione pubblica come responsabili dell’inefficienza e della scarsa qualità dei servizi: ciò ha preparato il terreno per imporre il blocco del turn over, il blocco delle retribuzioni e dei contratti nazionali di lavoro, il taglio del salario accessorio e la produzione di norme improntate ad una logica punitiva nei confronti di tutti i lavoratori della P.A. e di attacco al ruolo del sindacato e della contrattazione integrativa. Risulta ben evidente come rispetto ai provvedimenti adottati la lotta ai cosiddetti “furbetti del cartellino” centrasse ben poco!

C’è voluta la pandemia da covid19, undici anni dopo la legge 150/2009 (la cd legge Brunetta), per recuperare credito e rispetto dei lavoratori della P.A. nei confronti dell’opinione pubblica, che ha scoperto la professionalità e la dedizione di questi lavoratori e nel contempo che il vero problema della qualità e dell’efficienza dei servizi era dovuta dalla carenza di finanziamenti, di strutture e di personale: tutt’altra storia rispetto ai luoghi comuni che volevano i dipendenti pubblici essere fannulloni, troppi e pure troppo pagati.

Ma quali fossero le reali cause dei problemi che affliggevano i servizi pubblici era ben noto e la “cura” adottata non poteva che peggiorare la situazione con conseguente grave disagio dei cittadini e in particolare delle fasce più deboli della popolazione. In tal senso non lascia dubbi la realtà fotografata impietosamente dai dati relativi ai raffronti internazionali, come ad esempio quella basata su dati OCSE del 2015 rispetto ai soli lavoratori impiegati nei servizi di pubblica utilità: il primo grafico si riferisce al numero dei lavoratori pubblici, il secondo si riferisce alla somma dei lavoratori pubblici e privati e, in entrambi i casi, il nostro Paese risulta all’ultimo posto!

Numero dei lavoratori pubblici

Somma dei lavoratori pubblici e privati

Anche il fatto che complessivamente i lavoratori pubblici italiani non fossero troppi, come si voleva far credere, è un dato ben noto e inconfutabile:

Conto annuale 2017 dipendenti pubblici

Come è noto il dato del raffronto internazionale sul peso dei redditi dei lavoratori pubblici:

Ragioneria Generale dello Stato conto annuale 2017

Rapporto spesa dipendenti pubblici popolazione

Come chiaro è anche il fatto che il blocco della retribuzione, dei CCNL e il taglio del salario accessorio operati dal 2009 non potevano essere certo motivati con il fatto che i lavoratori pubblici italiani godessero di una eccessiva remunerazione, come dimostrano i dati delle retribuzioni medie dei principali Paesi europei di quel periodo (retribuzioni relative all’anno 2005):

Spesa dipendenti pubblici redditi europa 2005

Eppure, in conseguenza della campagna denigratoria orchestrata contro il lavoro pubblico, non di rado le cronache hanno registrato attacchi contro dipendenti pubblici, come ad esempio il caso delle numerose aggressioni subite dal personale medico ed infermieristico nei vari pronto soccorso degli ospedali del Paese, dove spesso le condizioni di assistenza risultano essere oggettivamente ben al di sotto di standard accettabili. Solo oggi e purtroppo c’è voluta una pandemia, la verità sui tagli operati e sugli effetti determinati nelle strutture sanitarie è venuta fuori, con gli operatori che, in tutta evidenza, non erano i colpevoli, bensì le vittime, al pari dei pazienti. Quanto detto sulla sanità vale naturalmente per tutti i lavoratori pubblici e per tutti settori che dal 2009 hanno subito ingenti tagli, come ad esempio il caso dell’Università e degli Enti pubblici di Ricerca, dove l’attuale finanziamento ordinario è inferiore a quello di 10 anni fa.

Grave è la responsabilità politica dei tagli operati in questi settori fondamentali per il futuro e la crescita del Paese, come sta a dimostrare l’arretratezza dell’ Università e della Ricerca nel contesto internazionale, certificabile anche con pochi ma significativi dati: nell’Unione Europea siamo all’ultimo posto come finanziamento statale dell’Università con lo 0.3% di PIL contro la media dello 0,7%, investiamo in R&S l’1,3% del PIL contro la media dell’1,99% e abbiamo un numero di ricercatori che è poco più della metà della media OCSE (5,5 ogni mille lavoratori, contro i quasi 9) e circa un terzo della Germania e metà di Francia e Inghilterra.

A seguire le ricadute dei tagli e del blocco del turn over operato dal 2009 sul personale impiegato nelle Università.

Personale università

Naturalmente la responsabilità di tutto ciò non è opera né di un solo ministro né di un solo governo, ma questo non cancella la responsabilità dell’azione del ministro Brunetta che è stato uno dei ministri più divisivi della P.A. e ciò fa ritenere la sua nomina quanto di meno opportuno ci si potesse auspicare in questa fase, considerando le prossime sfide della digitalizzazione e dell’innovazione della P.A previste nel recovery plan o all’implementazione e regolamentazione del lavoro agile nel lavoro pubblico, dove sarà importante valorizzare e investire proprio sulla partecipazione consapevole e attiva dei lavoratori. Inoltre siamo a ridosso della chiusura dei lavori delle commissioni sull’ordinamento professionale e all’inizio dell’iter che dovrà portare al rinnovo dei CCNL, dove proprio il ministro della P.A. esercita un ruolo fondamentale a partire dalla definizione dell’atto di indirizzo, senza poi contare che il solo fatto di aver dato l’incarico di ministro della P.A. a Brunetta di per se rischia di produrre un arretramento della contrattazione integrativa nelle Università e negli EPR, dando ancor più forza a quei dirigenti del MEF e della FP che in questi anni hanno sempre ostacolato il riconoscimento della specificità nei nostri settori.

Coesione e unità per rilanciare il Paese! L’invito del Presidente della Repubblica, ripreso da Presidente del Consiglio, sembra purtroppo esattamente il contrario di ciò che rappresenta il ministro Brunetta. Perciò la sua nomina ci lascia sgomenti e non può essere vissuto come un fatto normale l’incarico che, dieci anni dopo, gli è stato di nuovo assegnato. La pervicacia nel delegittimare la funzione sociale del lavoro pubblico che ha caratterizzato il precedente mandato del ministro Brunetta ha comportato un prezzo che i lavoratori pubblici e il Paese ancora stanno pagando e pur in un quadro dove le sfide da affrontare in conseguenza dell’emergenza sanitaria sono tante, non possiamo certo permetterci di assistere passivamente a quanto accadrà nel ministero della Pubblica Amministrazione e quindi vigileremo con la massima attenzione per farci trovare pronti, se del caso, a mettere in campo la più forte iniziativa di cui saremo capaci, con la determinazione che ci è data dalla consapevolezza che un ritorno al passato né i lavoratori pubblici né il Paese se lo possono permettere!

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