Il 27 gennaio e il corto circuito di memoria pubblica

 

Il Paese manifesta l’urgenza di un cambiamento. Il cambiamento parte dalla scuola. L’intervista a Tullia Catalan, docente di Storia contemporanea ed esperta di antisemitismo e antislavismo.

Sono passati quattro mesi dall’atto di squadrismo fascista che si è riversato contro la sede della CGIL Nazionale a Roma. Erano i primi di ottobre. Non era trascorso, allora, troppo tempo dall’attacco a Tomaso Montanari, aggredito a mezzo stampa e social (non solo dalla destra neo o post fascista), al quale erano state chieste addirittura le dimissioni da rettore dell’Università per stranieri di Siena, per aver condannato l’uso strumentale e politico che la destra neofascista fa delle Foibe, ingigantendo la vicenda da un punto di vista storico, numerico e soprattutto cercando di equipararla alla Shoah, dopo aver ottenuto una Giornata del Ricordo messa in calendario il 10 febbraio. Sembrava che questa follia si fosse fermata e invece abbiamo salutato l’anno nuovo con il funerale shock, di matrice nazista, che si è svolto a Roma, nel cuore del rione Prati, non troppi giorni fa. La giornata della memoria che ricorre ogni 27 gennaio dalla sua istituzione, più di 20 anni fa, ci dà l’occasione per riflettere su tutto questo. Sulla memoria che, a quanto pare, sembra vacillare sempre di più.

Perché è evidente che tutto questo manifesta l’urgenza di un cambiamento e che è tutto collegato proprio ad un corto circuito di memoria. E che o l’antifascismo diventa pratica quotidiana di tutti i cittadini oppure la retorica e la prassi neo e post fascista finirà per radicarsi. Con tutte le conseguenze che, forse, possiamo solo immaginare.

Anche se le conseguenze, probabilmente, si stanno già verificando. Perché l’intimidazione nel mondo accademico è, e dovrebbe essere, inconcepibile in una Repubblica antifascista.

Per questo abbiamo chiesto una intervista a Tullia Catalan, docente di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università degli studi di Trieste, i cui interessi di ricerca riguardano i rapporti fra il mondo ebraico e la società fra Ottocento e Novecento in Italia e in Europa centro-occidentale e che di recente si è occupata di antisemitismo e antislavismo.


Professoressa, partiamo proprio dalla Giornata della Memoria e dalla sua contrapposizione, politicamente voluta, con il Giorno del Ricordo, concepito per parificarlo alla memoria della Shoah. Secondo Montanari la falsificazione storica consiste proprio nel sostenere che le foibe siano uguali all’Olocausto. Lo dimostra un disegno di legge del 2019 che vorrebbe­ rafforzare gli strumenti e le forme disponibili di contrasto fe­nomeni di negazionismo, giustificazionismo e riduzionismo del massacro delle Foibe equiparando, anche sul piano penale, la negazione delle Foibe con la negazione della Shoah. Vorremmo conoscere il suo parere in merito all’idea di questa falsificazione storica e alla conseguente idea di banalizzazione della Shoah.

La legge stessa che istituisce il Giorno del Ricordo è stata concepita per parificarlo alla memoria della Shoah, nel sostenere che le Foibe siano uguali all’Olocausto. Queste due date tendono volutamente ad intrecciarsi. Ma è una banalizzazione voluta politicamente: non è assolutamente possibile farlo. E lo dicono gli storici. È giusto e doveroso istituire il Giorno del Ricordo ma è giusto dire (e non lo dice nessuno) che questo non comprende solo le Foibe, ma anche l’esodo istriano dalmata, che di solito viene quasi dimenticato, e invece è stato un tragico spostamento forzato di popolazione che segnò quasi 250 mila persone che si sono viste rimossi dalla memoria collettiva. Questo perché? Perché ciò che spinge a equiparare le Foibe alla Shoah è una strumentalizz

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