Dalle culle vuote ai banchi vuoti il passaggio è veloce
Nei prossimi dieci anni, il Paese perderà circa 1,4 milioni di studenti tra i 3 e i 18 anni, sui circa 7,5 milioni attuali e il processo, già in atto, inizia a produrre i primi effetti. Un vero e proprio smottamento della popolazione scolastica. Evento che inciderà profondamente sulle politiche di welfare, sul modello produttivo e dei consumi, sulle relazioni tra le generazioni, sulla sanità e l’istruzione in primo luogo.
Un Governo all’altezza della sfida avrebbe dovuto immediatamente aprire un cantiere politico per raccogliere tutti i dati (che ci sono), verificarne la proiezione sui territori (anche questi dati ci sono) e iniziare a pensare alle ipotesi di programmazione degli interventi, aprendo un processo di partecipazione attiva di tutti i soggetti interessati. Di questo indispensabile processo non c’è traccia nell’art. 99 della legge di bilancio 2023 che il Parlamento si accinge a discutere in tempi strettissimi.
Il Governo sembra scegliere la strada più comoda e a lungo già sperimentata nelle politiche di bilancio: meno alunni, meno scuole, meno dirigenti scolastici e in prospettiva meno docenti; il tutto con un articolo nella legge di bilancio che segna un “più” nei risparmi o tagli nel settore. Il Ministro Valditara, nella sua comunicazione ufficiale, giustifica tutto ciò come realizzazione di una “stringente” indicazione europea che mira ad adeguare la rete scolastica all’andamento anagrafico della popolazione scolastica.
Ma l’Europa non impone parametri e metodi, indica solo una direzione di marcia che va interpretata e tradotta nel contesto nazionale. Tocca a ogni Paese definire una visione e un programma per un progetto di nuovo assetto della rete scolastica, tenendo conto della variabile demografica.
L’art. 99 della legge di bilancio è in tal senso una lettura regressiva, riduttiva e socialmente inaccettabile delle indicazioni europee. Una legge in cui l’unica visione è il saldo di bilancio.
Questa impostazione va contrastata con fermezza non solo per gli effetti a breve ma soprattutto perché l’assenza di una visione e di un progetto a fronte del calo demografico, può produrre il disastro peggiore, condannando la scuola e il Paese al declino della scuola pubblica, alla sua funzione nella società.
Questo presente, così carico di limiti, ritardi e contraddizioni, non può essere la proiezione del futuro in cui l’unica variabile è il passaggio dal parametro 600 alunni a 900/1000 per costituire una istituzione scolastica.
La visione deve capovolgere profondamente questa impostazione: fare del calo demografico, che nei suoi effetti di lunga durata richiederà anche politiche per aiutare la ripresa della natalità, una opportunità per ripensare il modello strutturale della scuola e progettare un “paesaggio ecologico della scuola”.
Si tratta cioè di cogliere l’occasione per sanare intanto antichi limiti: strutture vecchie, spesso inadeguate e talvolta pericolose e troppo affollate, pensate ancora per una scuola a porte chiuse, tutta aule e corridoi, senza attrezzature e spazi per il movimento e lo sport, senza biblioteche e laboratori all’altezza delle sfide odierne, ecc. Sanare insomma il limite non solo “edilizio” ma anche quello culturale che ha sempre pensato la scuola come un contenitore fisico e inerte, irrilevante rispetto a un processo educativo centrato sulla esclusività del rapporto docente/alunno.
La visione di “paesaggio scolastico ecologico” assume gli ambienti di apprendimento, per come sono strutturati, come fattori decisivi per la riuscita scolastica e l’inclusione di tutti. La scuola anche come edificio e struttura “tecnica” è curricolo e solo una visione gentiliana ne può negare il valore e il peso nei processi educativi.
Il cambiamento in atto o segna la scelta per questa rinascita della scuola come ambiente ecologico per la formazione delle nuove generazioni o la scuola sarà condannata soltanto a invecchiare e a divenire sempre meno rilevante. Paesaggio ecologico e non solo singola/e scuola/e perché mette al centro la relazione tra persone e ambiente, una ecologia fatta di relazione viva tra scuola e territorio, i suoi luoghi e i suoi abitanti, le associazioni di volontariato, le organizzazioni sociali, il mondo del lavoro.
La scuola come parte viva di un territorio in cui deve saper svolgere una funzione generativa e di reciprocità, per costruire un paesaggio accogliente per i bambini che non saranno solo “di meno” ma anche “diversi” dagli attuali perché sono cambiate, e tutte da interpretare, le attese e le aspettative delle famiglie; un paesaggio accogliente anche per impedire le nuove solitudini che i nostri adolescenti gridano con l’acutezza dei problemi che portano fin dentro le scuole.
Il calo colpirà il Paese in maniera molto differenziata non solo tra nord, centro e sud ma anche tra città e periferie, centri medio grandi e piccoli comuni. Non è possibile seguire passivamente le dinamiche chiudendo e accorpando le scuole dove calano le iscrizioni e basta. Ci sono realtà territoriali in cui la chiusura di una scuola è una condanna per la comunità locale e forse l’alternativa di piccole scuole magari connesse tra loro e non solo, grazie alle nuove tecnologie, potrebbe costituire una soluzione.
In ogni caso bisogna avere chiaro che il calo demografico non modificherà solo la rete scolastica ma l’intera rete della socialità territoriale. Il calo demografico non deve diventare desertificazione sociale ed è questa la ragione prima di una nuova progettazione del territorio che deve partire dai Comuni e valorizzare la competenza programmatoria delle Regioni.
È fondamentale che Le Regioni, quasi un passaggio burocratico neppure decisivo nell’art. 99, e i Comuni, totalmente ignorati, siano protagonisti di questo processo, ricercando sul territorio, nel confronto con le forze sociali e il coinvolgimento della società civile e delle scuole, le soluzioni possibili e le risorse necessarie, anche utilizzando l’occasione irripetibile del PNRR.
Solo una intelligente programmazione territoriale, pensata con lo sguardo che guarda all’interesse generale del Paese e sostenuta da un forte e diffuso processo partecipativo, può trovare le risposte possibili a questo imponente processo di trasformazione.
Processo che certamente non si deve fermare alla sola dimensione, forma e valore della rete territoriale. Ben altre trasformazioni devono incrociarsi con gli effetti profondi del calo demografico, investendo la scuola anche nelle pratiche didattiche, nei saperi, tempi e orari per scuole aperte e partecipate da bambini e adulti, nei profili professionali di figure vecchie e nuove, nelle politiche degli organici, della mobilità, della formazione.
Al sindacato il difficile compito di concorrere alla realizzabilità di questo processo valorizzando le professionalità della scuola con pratiche contrattuali e professionali all’altezza della sfida. Serviranno risorse e cultura, creatività e professionalità, partecipazione diffusa e la responsabilità di fare i conti anche con la sostenibilità dei costi di un cambiamento così profondo. È l’attesa autonomia che non si può più rinviare oltre.
Sfide molto impegnative per tutti, che segneranno profondamente la vita del Paese e che non si possono liquidare con una norma di bilancio regressiva, priva di respiro e di speranza per il futuro. Una manovra che usa il calo demografico e lo rovescia sulla scuola, in quel territorio dove, se la politica non guarda al futuro della società, le diseguaglianze sono destinate a crescere.
Dario Missaglia
5 dicembre 2022