Scuola: fruizione dei tre giorni di permesso per motivi personali e familiari

 

I motivi addotti dal lavoratore non sono oggetto di valutazione discrezionale da parte del dirigente scolastico

Al personale docente e ATA spettano 3 giorni di permessi retribuiti per motivi personali o familiari.
Questo è diritto è stato sancito fin dal 2007 con la stipula del CCNL 2006-2009 il cui art. 15 co. 2 afferma che “il dipendente ha diritto, a domanda, nell’anno scolastico, a tre giorni di permesso retribuito per motivi personali o familiari documentati anche mediante autocertificazione”.
Tale diritto è stato recentemente esteso anche al personale a tempo determinato con il CCNL 2019-2021 (art. 35 comma 12).

Per fruire di questi permessi è sufficiente fornire una motivazione, personale o familiare, che rappresenta il presupposto giustificativo del permesso e che può essere documentata anche mediante autocertificazione da parte dell’interessato.

L’autorizzazione di questi permessi non è soggetta ad alcuna valutazione o discrezionalità da parte del dirigente scolastico che non può entrare nel merito delle motivazioni addotte dal lavoratore.

È quanto afferma chiaramente anche l’Aran in un suo parere sostenendo che la clausola contrattuale “prevede genericamente che tali permessi possono essere fruiti ‘per motivi personali e familiari’ consentendo, quindi, a ciascun dipendente, di individuare le situazioni soggettive o le esigenze di carattere personale o familiare ritenute più opportune ai fini del ricorso a tale particolare tutela contrattuale”.

In considerazione di ciò, sottolinea l’Aran, “i motivi addotti dal lavoratore non sono soggetti alla valutazione del dirigente scolastico”. Il dirigente, pertanto limiterà il proprio controllo agli aspetti formali della richiesta del dipendente senza sindacare la validità delle motivazioni (personali o familiari) addotte dal dipendente.
Solo in presenza di una eccezionale e massiccia richiesta contemporanea di permessi per il medesimo giorno da parte dei lavoratori si può ipotizzare una regolamentazione del diritto al fine di contemperare le esigenze individuali con le ragioni organizzative della scuola. Negli altri casi, a fronte di singole o contenute richieste giornaliere, il permesso va autorizzato sempre e comunque.
Diversamente si assegnerebbe al dirigente un potere di discriminare a chi concedere i permessi e per qual motivi, un potere che il contratto non gli attribuisce ma anzi lo esclude chiaramente anche a parere dell’Aran.

Una recente ordinanza della Cassazione non fa altro che confermare quanto detto sopra. In essa, infatti, si rigetta il ricorso di un lavoratore sottolineando che il motivo della richiesta di permesso deve “essere adeguatamente specificato” e che il dirigente deve deciderne la concessione valutandone l’opportunità sulla base “di un giudizio di bilanciamento delle contrapposte esigenze”.

Evidentemente in quel contesto scolastico, in quella giornata, vi era una situazione di eccezionalità; altrimenti la decisione del dirigente scolastico si sarebbe configurata come negazione di un diritto.
Peraltro, quando si rigetta una richiesta, il dirigente scolastico deve mettere per iscritto le motivazioni del rigetto.
E sarebbe interessante esaminare anche tale piccolo particolare per trarne deduzioni di carattere generale.

Si dia pertanto regolare attuazione alle disposizioni contrattuali garantendo i diritti dei lavoratori. Non è certo comprimendo i diritti del personale che si migliorano la qualità del lavoro e del servizio offerto, ma investendo nel sistema scolastico per incrementare organici, stipendi e lavoro stabile.